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Fedele Calvosa, storia di un servitore dello stato

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Fedele Calvosa, un nome che oggi ai più dice poco. La gente in modo distratto, passa in una via intitolata a colui che fu Procuratore capo a Frosinone. Oppure si reca in una scuola a lui intitolata. Calvosa è un nome riconducibile a una foto in bianco e nero un po’ sgranata. Dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e tornare a un’Italia anch’essa in bianco e nero, con quell’atmosfera “velvia”, dell’Italia degli anni ’70 dell’austerity per capire chi era Fedele Calvosa.

Fedele Calvosa

Erano anni di scioperi e di grandi tumulti popolari, frammisti a colori politici, sindacati, anarchia e un certo senso di smarrimento sociale. Erano tempi in cui papa Paolo VI arrancava, travolto dal divorzio, le scissioni, l’aborto, il femminismo e tensioni politiche che a volte esplodevano. Gli italiani erano molto spaventati e Frosinone, come la Ciociaria tutta, tentava di scostare la pesante tenda di un retaggio antico. Si viaggiava con i mezzi scomodi, ma prendevano piede e tanti ragazzi dalle campagne andavano finalmente a scuola.

Eppure, gli echi della modernità giungevano ancora un po’ ovattati. Tuttavia qualcosa era già accaduto in Ciociaria. Lo schiaffo era arrivato, ma pochi l’avevano compreso. A gennaio i terroristi avevano ucciso Carmine De Rosa, maggiore dei carabinieri in congedo. Era capo dei servizi di sicurezza industriale alla Fiat di Cassino. La Ciociaria non era quindi immune dal morbo della violenza che dilagava in Italia.

Aldo Moro

Trascorsero mesi scanditi dalla vita di provincia e fatti gravi arrivavano sbiaditi. Poi ci fu un giorno, plumbeo e “Campale”, in cui Frosinone si ritrovò catapultata di colpo negli “anni di piombo”. Accadde nel modo più cruento, con colpi di mitra inesorabili. L’ingenuità contadina fu violata, come una giovane contadina sorpresa in un campo di grano da un soldato straniero infame.

Venezia  - Paolo Vi E Luciani in foto a Venezia

Tra le pieghe di queste vicende, emerge Fedele Calvosa, un nome da vescovo, da notabile, lui che era un semplice servitore dello stato. Nato a Castrovillari agli albori del ‘900, a ridosso degli anni ruggenti, a suo tempo aveva vinto il concorso in magistratura. Inizia così la sua carriera proprio nel tribunale di Castrovillari. Poi come tanti dipendenti dello stato, si sposta a Catanzaro, Ceccano e anche Roma. E’ agli inizi degli anni ’70 pressappoco che diventa Procuratore Capo della Repubblica nel tribunale di Frosinone, una destinazione voluta.

Via Fedele Calvosa

Di lui si parlava bene, come uomo retto, onesto, dedito al dovere. Forse dalla provincia sonnolenta, accendendo il pulsante della televisione dell’epoca, vedeva colleghi, così come poliziotti e carabinieri, cadere in strada per mano di terroristi. Chissà, forse in provincia, tra le placide campagne grondanti uliveti e vigne, molti si saranno sentiti al riparo da tutto questo.

Fedele Calvosa - Aldo Moro in foto

Eppure, quegli uomini e donne, con camicie dai colli lunghissimi, pantaloni beige a zampa d’elefante, borsello marrone, o abiti in terital; non immaginavano che la storia stava per bucare la Ciociaria con tutta la sua dirompente violenza. Era l’8 novembre del ’78 e l’Italia era ancora più smarrita. Il rapimento di Aldo Moro, il suo omicidio e la successiva scomparsa dell’amato amico papa Paolo VI, avevano colpito molto l’opinione pubblica. Incredibilmente, dopo un mese muore anche papa Albino Luciani e i giornali sembrano gridare preghiere e proclami.

Papa Paolo VI

Fedele Calvosa quella mattina sta andando in tribunale. Calvosa non sa di essere nel mirino. Ma diventa un bersaglio per aver emesso un mandato di comparizione nei confronti di diciannove operai di una fabbrica tessile della zona; accusati di violenza privata.

E’ autunno inoltrato, che in Ciociaria può essere dolce, colorato e mite. Sono le 8,30 quando le campagne si stanno svegliando adagio sotto un tiepido sole autunnale. Calvosa viaggia su una Fiat 128 guidata dall’autista Luciano Rosso di Sgurgola; un grazioso borgo lì a due passi. Sull’auto c’è anche l’agente di scorta Giuseppe Pagliei di Giuliano di Roma. A un tratto c’è una curva e un incrocio in cui l’auto rallenta. Non sa che è il capolinea. Forse quegli attimi sono previsti da chi deve aver studiato a lungo le abitudini del Procuratore Capo. All’improvviso, una Fiat 125 beige affianca l’auto di servizio. Il tutto è fulmineo.

Anni di piombo

Fedele Calvosa di origini umili, figlio di un vetturino, ha solo cinquantanove anni quando in un attimo velocissimo, deve lasciare l’amata famiglia, una carriera specchiata ed è costretto a rendere l’anima a Dio. Muore sul colpo anche l’autista. Alla fine sull’asfalto resteranno ventuno maledetti e inesorabili bossoli. Uno dei terroristi cade per errore sotto il fuoco di uno dei suoi compagni e naturalmente è abbandonato al suo destino. Sul posto resta anche un volantino di rivendicazione. Gli attentatori sono studenti, che infine cadono quasi tutti nelle maglie della giustizia. Cosa fanno ora, hanno vinto? Qualcuno insegna alla Sorbona? No, non hanno spezzato il “Paese”, perché l’Italia è tenuta insieme ancora dall’amore, dal senso del dovere e della giustizia dei servitori dello stato. Una lapide ricorda l’efferato eccidio, ma non serve al cuore delle famiglie, inciso più profondamente del freddo marmo. Resta l’esempio ben più elevato dell’umile onesto e indimenticato servitore.

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